GUIDA ALL’ASCOLTO: CD allegato AUD 188

The Reiner Sound”: Ravel & Rachmaninov

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di Giovanni Tasso

Se a partire dal XVIII secolo gli artisti europei iniziarono a provare un’attrazione irresistibile per l’Italia, nel corso dell’Ottocento cominciò a svilupparsi un interesse sempre maggiore per la Spagna. Rispetto al Bel Paese, che poteva contare su un’infinità di tesori artistici, sulla tradizione latina e su un fertile paesaggio in cui – per dirla con Goethe – “fioriscono i limoni”, la Spagna accendeva la fantasia di molti con le sue atmosfere misteriose, la luce accecante, la scabra bellezza dei panorami e l’architettura esotica degli edifici moreschi.

Queste immagini spinsero molti compositori a scrivere opere ispirate a temi iberici, che però in molti casi finirono per scadere in semplici oleografie, molto lontane dalla realtà della Spagna di quel periodo, come nel caso del Capriccio espagnol di Nikolai Rimski-Korsakov, opera senza dubbio bellissima, ma che con la vera Spagna non ha molto a che fare.

Tra gli autori stranieri che seppero esprimere meglio l’anima spagnola spicca Maurice Ravel, che dedicò al paese parecchie delle sue opere più significative. In ogni caso, va detto che Ravel – pur essendo francese a tutti gli effetti – era originario di Ciboure, ittadina situata a pochi chilometri dal confine in cui si respira ancora oggi la cultura basca, e che aveva appreso fin da bambino i canti spagnoli da sua madre. Questa autenticità fu in seguito riconosciuta da uno spagnolo DOC come Manuel de Falla, che – dopo aver ascoltato nel 1907 Ravel suonare al pianoforte la Rhapsodie espagnole – affermò che la sua hispanidad non derivava da una mera imitazione di temi popolari, ma “da un libero impiego di ritmi, melodie modali ed evoluzioni proprie della lirica popolare, elementi che non alterano affatto le caratteristiche musicali dell’autore”.

Nel 1908 Ravel realizzò la versione orchestrale della Rhapsodie espagnole, utilizzando un organico di grandi dimensioni (che comprende anche l’ormai desueto sarrusofono, oltre alla celesta, a due arpe e a una nutrita sezione di strumenti a percussione), dal quale deriva il ricchissimo panneggio sonoro che entusiasmò il pubblico presente al Théâtre du Châtelet di Parigi per la prima esecuzione tenuta dall’Orchestre des Concerts Colonne diretta da Édouard Colonne.

 

RAVEL: RHAPSODIE ESPAGNOLE

TRACK 1: Prélude à la nuit

L’opera si apre con l’evocazione delle notti spagnole, un topos ricorrente della produzione musicale ottocentesca, che esprime il senso di mistero che si associava al paese. Fin dalla prima battuta compare il motivo ricorrente, un tema discendente di quattro note - fa-mi-re-do diesis [0:03-2:15🎵]-, che viene ripetuto ossessivamente con un’ampia oscillazione dinamica prima dagli archi e poi da altre famiglie strumentali, fino ad arrivare al clarinetto solo. Con questa idea melodica – alla quale si sovrappongono interventi di archi e di fiati – viene a crearsi un’atmosfera tesa e ipnotica, dove il tempo rallenta fino quasi a fermarsi, conducendo gli ascoltatori in un remoto mondo ancestrale. A interrompere questo angoscioso ripiegamento interiore arrivano gli archi con un tema espansivo, nel quale possiamo vedere apparire in uno squarcio di realtà il tepore e gli aromi fragranti della notte [2:17-2:55🎵], con sullo sfondo l’incessante reiterazione del motivo discendente. Dopo il ritorno in primo piano dell’idée fixe in rallentando, i legni presentano una melodia avvolgente [3:34-4:02🎵], che però si rivela presto uno spunto transitorio, perché il movimento si chiude in pianissimo con il tema discendente.

 

TRACK 2: Malaguena

Al sogno a occhi aperti del Prélude à la nuit fa seguito la Malagueña, una danza vivace che ci riporta alla realtà con continui cambi di ritmo e le caratteristiche note ribattute del flamenco. Anche in questo caso, Ravel si conferma un maestro dell’orchestrazione, scegliendo sapientemente gli impasti sonori per creare un clima di eccitazione, che richiama le tinte forti del paesaggio spagnolo. La tromba annuncia il tema della festa [0:30-0:35🎵], che viene ripreso da tutta l’orchestra, con in primo piano le percussioni a conferire un brillante colore iberico [1:00-1:10🎵]. Tuttavia, quando l’orchestra sembra ormai avviata ad abbandonarsi a una scatenata vitalità, a un tratto emerge una lunga linea melodica del corno inglese [1:11-1:41🎵], sulla quale si inserisce di nuovo il tema discendente del Prélude, che poco dopo sfocia in un’agile conclusione sfumata.

 

TRACK 3: Habanera

In terza posizione Ravel inserì l’Habanera che aveva composto 12 anni prima, un fatto che si premurò di indicare chiaramente in partitura, molto probabilmente per rivendicare un diritto di primogenitura su Claude Debussy, che qualche anno prima aveva inserito questa danza – resa universalmente famosa da Bizet – nella sua Soirée dans Granade. Questo brano dal carattere lento e sereno, in cui i passi di danza si manifestano con slancio solo verso la fine, è un’oasi serena prima che esploda la fiesta.

 

TRACK 4: La Feria

La Feria ci porta finalmente nel tripudio della danza, con un’introduzione dei flauti [0:02-0:08🎵] che crea un coinvolgente senso di eccitazione, che tratteggia l’immagine della folla in spasmodica attesa di scatenarsi nei balli. E la festa inizia con il fragoroso tema dell’orchestra [1:06-1:11🎵]. Secondo quanto scrisse l’autore, nella Feria vengono travolti tutti gli indugi presenti nei movimenti precedenti, ma anche in questo caso non manca una vena malinconica che trova piena espressione nell’episodio esposto prima dal corno inglese [2:21-2:56🎵] e poi dal clarinetto basso [3:09-3:33🎵] e nell’ennesimo ritorno del tema discendente del Prélude [4:19-4:42🎵]. Nonostante questo, alla fine trionfa il lato vivace e ottimista del carattere spagnolo, che raggiunge il parossismo con un Finale che non può che strappare l’applauso.

 

TRACK 5: RAVEL: PAVANE POUR UNE INFANTE DEFUNTE

Oltre alle tradizioni spagnole, Ravel prestò molta attenzione anche ai grandi maestri del Barocco, che gli ispirarono opere come il Menuet antique e Le tombeau de Couperin. Il lavoro più emblematico sotto questo aspetto è senza dubbio la Pavane pour una infante défunte, uno dei brani pianistici che permise al giovane Ravel di iniziare a farsi notare nel panorama musicale parigino. Nel 1910 il compositore orchestrò questa pagina pervasa da un trattenuto riserbo e da una disadorna bellezza, conferendole un fascino sognante e sospeso al di fuori del tempo, simile a una cartolina di un’epoca ormai irrimediabilmente passata. Se molti videro in questo lavoro il compianto per una fanciulla scomparsa da tempo, Ravel negò ogni carattere programmatico, anzi confessando di essere stato conquistato solo dal titolo.

L’opera si apre con lo struggente tema del corno solista [0:05-0:32🎵], sostenuto dal morbido tappeto degli archi con sordina, del secondo corno e dei fagotti, con i legni che entrano solo nella seconda parte, così come la fuggevole iridescenza dell’arpa. Il secondo tema, dai toni dolcemente consolatori, vede il flauto librarsi nel registro acuto [3:32-3:38🎵], supportato dai primi violini. Variato anche quest’ultimo episodio tra i morbidi glissandi dell’arpa, e concluso con il forte a organico completo, giunge l’ultima ripresa del rondò in pianissimo, con l’unisono dei flauti e dei violini sull’accompagnamento di archi, arpa, fagotti e corni. Per la seconda sezione del tema, la linea melodica viene affidata ai violini e al corno, mentre i flauti e i clarinetti tratteggiano un delicatissimo staccato, che sembra evocare le sonorità lontane di un liuto.

 

TRACK 6: RACHMANINOV: L’ISOLA DEI MORTI

Nel 1880 il pittore svizzero Arnold Böcklin dipinse l’Isola dei morti, uno dei quadri più emblematici dell’ultimo scorcio del XIX secolo, che accese la fantasia di molti letterati e musicisti. Nel 1907 Sergei Rachmaninov ne vide una riproduzione in bianco e nero, che lo colpì profondamente, al punto da portarlo a concepire un nuovo poema sinfonico. Il tema gli era particolarmente congeniale, come lui stesso in seguito confidò a una sua amica, confessando che i colori brillanti non erano consoni alla sua anima – un fatto che trova conferma anche in molte altre sue opere. Con ogni probabilità, l’elemento che colpì maggiormente Rachmaninov è la scabra solennità della composizione pittorica, che vede l’approdo della barca di un moderno Caronte vestito completamente di bianco (dettaglio curioso, se non proprio sorprendente) a un’isola dai tratti fortemente simmetrici, con ai lati due alte rocce a picco simili a lapidi sepolcrali che abbracciano quattro altissimi cipressi, che – con eloquente metafora del mistero della morte – nascondono alla vista quanto si cela dietro di loro. Questi elementi del quadro di Böcklin sono chiaramente presenti nel poema sinfonico di Rachmaninov, che però evitò sempre di spiegarne nei dettagli il contenuto programmatico. Un fatto peraltro inutile,visto che dalla partitura del compositore russo appare evidente già nel tema sinistro con cui si apre l’opera [0:11-2:13🎵], che evoca da un lato l’assoluta – e innaturale – immobilità dell’acqua e dall’altro il crescente terrore per l’approssimarsi della meta finale. In questo quadro raggelato, l’unico elemento a muoversi è la barca del triste nocchiero, il cui inesorabile avanzare viene efficacemente reso dal ritmo di 5/4. Nel momento estremo della dipartita – la barca è ormai quasi giunta alla riva fatale – emerge un tema più luminoso del violino [4:34-5:09🎵], che pare voler rammentare al morituro gli episodi più felici della sua esistenza, ma questa immagine terrena viene contrastata dal solenne tema gregoriano del Dies irae, che Rachmaninov aveva già utilizzato nella Prima Sinfonia e che in seguito avrebbe riproposto nelle Danze sinfoniche. Dopo un fortissimo dell’orchestra, che esprime con allucinato realismo il cieco terrore della fine, la musica si placa improvvisamente in quella che è ormai diventata una rassegnata accettazione del destino, segnata dal ritorno del tema del Dies irae e venata di un sottile rimpianto per tutto quello che fu. Giovanni Tasso